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Il Giardino delle Delizie

Come un giardino può salvarci la vita

 

“E se guardate bene vi accorgerete che tutto il mondo è un giardino”

 (dal film Il Giardino segreto)

 

 

Quando, parecchi anni fa, la mia vita, da un giorno all’altro, venne sconvolta dalla furia di un uragano, manifestatosi sotto forma di attacchi di panico, tutto per me all’improvviso cambiò.

Proprio come dopo il crollo delle torri gemelle, mi ritrovai senza più forze sotto un gran cumulo di macerie: erano i brandelli della mia anima, che si era sparpagliata come i pezzi di carne umana dopo la strage di Wounded Knee.

Il fulmine imprevisto mi aveva ustionato il cuore e paralizzato i nervi: non ero più io ma un ammasso di cocci rotti che chiedevano di ritrovare una forma. Al pari di un naufrago, sopravvissuto a una terribile tempesta, mi sentivo, esausta e spossata, come gettata su un’isola deserta dove urgentemente dovevo trovare le risorse per poter continuare a esistere.

Passai quasi un anno sdraiata in un’amaca in giardino: era posizionata proprio sotto un meraviglioso cespuglio di rosa canina che lasciava cadere – era primavera – sopra di me i suoi bellissimi petali bianchi a forma di cuore. Scoprìì, solo in seguito, che era il fiore in grado di aiutare chi si fa prendere dalla rassegnazione, chi si lascia andare perché non ha più voglia di vivere…

Il Cielo venne in mio aiuto quell’anno: l’inverno – incredibile a dirsi – fu una pressochè continua primavera e mi permise di restare sull’amaca in giardino per mesi interi, ad aspettare ogni giorno che arrivasse sera e gli occhi si chiudessero per sottrarmi alla morsa delle scosse elettriche della paura che mi assalivano in continuazione, come il peggiore dei torturatori.

Ecco perché dico che il giardino mi ha salvato la vita.

Nell’amaca avevo ritrovato il contenimento uterino e, insieme ad esso, la memoria di quella che è stata la fase più drammatica di tutta la mia esistenza: il periodo perinatale.

Per quindici, interminabili anni, ho rivissuto gli incubi di chi, proprio come i reduci di guerra, è chiamato ad esplorare l’inferno. Ed ogni volta mi sono gettata tra le sue fiamme, con l’unica tuta di protezione che è la fede, ovverossia la fiducia che nasce dal sapere di stare facendo la cosa giusta, che, a tempo debito, darà i suoi frutti e dalla consapevolezza che una rete invisibile di protezione è comunque lì per attutire le nostre cadute.

Posso dire che il lunghissimo e paziente lavoro di ristrutturazione della mia anima è andato di pari passo con quello del mio giardino. Quando, dopo anni di estenuante e inarrestabile lavoro interiore, ho cominciato a intravedere la luce fuori dal tunnel, ecco che sono tornata al giardino: questa volta non per esserne accolta come in una culla, ma per trasformarlo con le mie mani e farne un angolo di bellezza e di vita.

Così ho raccolto sassi, uno per uno, strappato erbacce e tagliato piante infestanti con le mie nuove cesoie e, con l’aiuto prima di un amico e poi di un giardiniere, ecco che la selva incolta ha iniziato a cambiare volto: le barricate sono state abbattute e nuovi panorami si sono aperti alla vista, gli spunzoni di bambù hanno ceduto il posto a un morbido prato su cui è un piacere poter camminare a piedi nudi.

E insieme al giardino è guarita a poco a poco anche la mia anima martoriata.

Ora il mio giardino è diventato “il giardino delle delizie”: un’oasi di pace e serenità, di calma e bellezza che nutre chiunque vi si avvicini o decida di trascorrervi qualche momento in silenzio e raccoglimento o chi viene a partecipare ad uno dei miei corsi o seminari.

Ho voluto creare al suo interno piccoli angoli sensoriali per sperimentare attraverso l’olfatto i profumi delle erbe aromatiche; per ascoltare, seduti su una comoda sdraio, i suoni delle campane eoliche che ondeggiano al vento o degli uccellini che cantano allegri le loro melodie; per ritrovarsi seduti in cerchio su piccoli tronchi sotto le fronde della grande thuya a condividere il silenzio della presenza e scambiarsi le proprie storie; per osservare la bellezza del cielo che rasserena, sdraiati sulla grande amaca. 

Nel mio giardino c’è anche l’angolo degli antenati: un piccolo pezzetto di terra dove sono stati seppelliti nel tempo i nostri amici animali, gatti e cane, che hanno allietato la vita dei bambini da piccoli. Sta proprio davanti a un salice, unico albero del giardino che offre la possibilità di sedersi tra i suoi robusti rami. Era un sottile stecco quando mio figlio Luis un giorno lo portò a casa al ritorno da scuola: lo piantammo senza nessuna aspettativa e mai ci saremmo immaginati che sarebbe diventato il possente albero che è ora… La conferma che anche ciò che sembra esile e fragile possiede in realtà una forza nascosta e può dar vita a qualcosa di totalmente inatteso e spettacolare.

A fare da nume tutelare all’angolo degli Antenati ho messo una statua che raffigura il volto di mia madre: per tanto tempo, dopo la sua scomparsa, l’ho tenuta in garage ma poi ho sentito che finalmente era arrivato il momento di onorarla come si conviene.

Ci sono voluti anni di lavoro interiore per fare pace con lei, per riuscire a comprenderla e capire che entrambe non abbiamo nulla di cui doverci perdonare: ognuna di noi ha fatto esattamente ciò che era in grado di fare in quel particolare momento della sua vita. E ora la sua simbolica presenza rappresenta per me una sorta di protezione della mia casa e della mia famiglia. Ora che non c’è più e non posso più dirle a voce ciò che avrei voluto, ora io la amo come mai prima. Ed ecco che con questo angolo di giardino anche un altro tassello della mia vita è andato a posto.

Ogni anno, in primavera, riempio il giardino di surfinie, fucsia, bianche e viola e le osservo crescere rigogliose e così belle: i loro colori sgargianti mi riempiono il cuore di bellezza e gratitudine.

Mentre in autunno le saluto e lascio il loro posto alle violette, le eriche e i ciclamini, che saranno in grado di affrontare il freddo dell’inverno. Ogni stagione ha i suoi fiori, i suoi doni, proprio come accade per ogni vita umana.

Così la sera, all’ora del tramonto, annaffio le mie piante e poi mi siedo sulla sedia a dondolo, sotto il pruno dalle foglie rosso scuro, piantato alla nascita del mio terzogenito. E lì, nell’angolo delle aromatiche, che è come un piccolo giardino segreto, mi raccolgo a leggere o scrivere o riflettere in silenzio, sotto i raggi del sole che, prima di nascondersi alla vista, con una luce speciale illumina e fa brillare ogni cosa. Strofino tra le dita qualche foglia di menta o di cedrina e le avvicino alle mie narici, oppure mi lascio pervadere dall’intenso e inebriante profumo del gelsomino nelle magiche notti di maggio.

Di giorno colgo il timo e il basilico o la salvia e la santoreggia per condire i miei piatti in cucina, non senza prima ringraziare ogni piantina per l’offerta delle sue preziose foglie.

E penso con gratitudine all’amica, venuta a trovarmi un fine estate, che ha avuto l’idea – per me semplicemente geniale – di cambiare posizione alle fioriere di legno, di cingerle da un cannicciato di bambù, così da creare un angolo protetto e raccolto, confortante e rassicurante, con i suoi confini ristretti ma ampi abbastanza da contenere i silenzi dell’anima.

A dimostrazione che a volte basta solo cambiare prospettiva e guardare le cose con un occhio diverso per trasformarle come per magia e creare qualcosa di infinitamente più prezioso e più bello.

Sì, un giardino può rasserenare un cuore ferito. Oggi lo dicono anche scienziati e ricercatori. Il giardinaggio e l’orticoltura sono diventati strumenti terapeutici: vengono utilizzati nelle carceri, negli istituti psichiatrici e negli ospedali perché aiutano a ridurre l’ansia e a superare la depressione dopo lutti o traumi importanti. Si sono rivelati risorse straordinarie per chi è affetto da disturbi da stress post-traumatico (PTSD).

Me ne ero accorta negli anni della sofferenza e del tormento interiore, della mia buia notte dell’anima, e ho sempre benedetto questo pezzo di terra che ho desiderato con tutte le mie forze quando cercavo casa. Lo trovai proprio dove lo volevo: sotto le colline di un parco naturale ma a pochi chilometri dalla grande città, in una frazione che sembra un paesino e che io amo immensamente perché mi ricorda l’atmosfera di un villaggio.

Fu un colpo di fulmine quando lo vidi, ancora ricordo il momento esatto in cui l’agente immobiliare ci disse “E’ quello !”. Capii all’istante che era la mia casa. Era primavera e le forsizie erano in fiore.

Da allora ho sempre amato il mio giardino e per anni posso dire di averlo annaffiato con le mie lacrime… Era lì, tra le sue braccia, che mi rifugiavo nei momenti di sconforto, era lì che la notte mi sedevo a guardare le stelle. Quella che è stata per un tempo così lungo una prigione da cui non riuscivo più ad uscire, si è trasformata da cella di detenzione a cella di meditazione e purificazione. In fondo ho fatto un po’ la monaca benedettina: ora et labora…

Ho sempre pensato che il mio giardino mi avesse salvato la vita, ma solo leggendo un libro di una psicoterapeuta inglese, Sue Stuart-Smith, ne ho avuto la piena conferma e  mi sono resa conto di come il giardino possa veramente essere un intermediario nel processo di guarigione: un luogo di transizione che ci permette di traghettare in modo graduale dal nostro mondo interiore a quello esterno evitandoci gli scossoni più duri, che ci consente di passare dal dentro al fuori con più sicurezza, così da poter affrontare rinforzati quella realtà che tanto ci spaventa.

Per chi, come me, ha avuto un atterraggio un po’ traumatico su questo pianeta, il giardino rappresenta un luogo di cura perché è una zona di comfort, un rifugio che fa sentire protetti, accolti, benvenuti. E’ uno spazio di bellezza e di armonia che ci riporta al centro e ci ricorda la nostra origine.

Il giardino, con il tempo, è diventato per me il simbolo del mio compito, del motivo per cui sono giunta qui: portare un pezzo di Cielo sulla Terra. Tutte le volte che mi ci immergo ne esco trasformata e ogni volta che lo trasformo ne esco più viva.

Perché ideare un giardino è un atto creativo e lavorarvi è un processo alchemico, in cui si ha a che fare con gli elementi archetipici: aria, acqua, terra e fuoco.

Ogni gesto ha il suo significato simbolico profondo: quando estirpo le erbe infestanti strappandone le radici, elimino qualche

resistente blocco del passato, quando ripulisco il terreno dalle foglie secche o dai sassi faccio pulizia dentro al mio cuore;     quando annaffio e mi prendo cura delle piante e dei fiori mi prendo cura anche della mia anima. Rendere fertile un terreno incolto, creare nuovi spazi al suo interno, significa aprire la propria mente e darsi la possibilità di trasformare il trauma in qualcosa di nuovo e di bello.

Coltivare un giardino significa coltivare se stessi, abbellirlo vuol dire portare bellezza nel proprio mondo interiore così da abitarvi con sempre maggiore gioia e serenità.

A volte poi accade anche di venire visitati da qualche animaletto di passaggio: uno scoiattolo che salta veloce da un ramo all’altro di un albero; una lepre che corre a capofitto; un fagiano che passeggia con noncuranza come se fosse a casa sua o addirittura un’upupa o una poiana che volteggia alta nel cielo proprio sopra la tua testa… Per non parlare del picchio che lavora infaticabilmente per ore intere,  delle farfalle che volteggiano leggere, delle piccole coccinelle o delle lucciole che riempiono il giardino nelle sere di giugno, come luminose stelle cadute dal cielo.

Allora è come se tutto si animasse e ci portasse invisibili messaggi…

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Il Giardino  delle Delizie

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Ed ecco come Monica Fantini, progettista di "Giardini del Cuore, Giardini di Guarigione", che ho coinvolto nella progettazione del mio giardino sensoriale,  ha voluto continuare questo mio scritto...

"Messaggi di pace, di conforto, ma anche di coraggio. Messaggi che ci indicano dove andare, o ci danno una direzione. Perché un giardino, sì, è come un libro, dove costantemente leggiamo e scriviamo insieme. Leggiamo ciò che la natura ci racconta, lei, così vicina da bussare alla porta appena fuori casa. A ricordarci che c’è sempre, foriera di messaggi e cure, di alimento e medicina. A ricordarci che piante e animali sono compagni su questa terra e, quindi, vicini di casa. Esattamente, che la naturale condizione è la convivenza e non certo lo scontro, non certo l’opposizione. Ma il godimento comune dell’abbondanza della terra. E la sua celebrazione.

Per questo un cerchio di tronchi. Per ascoltare e celebrare.

Perché ogni decisione presa col Tutto, ogni pensiero che nasca dal Tutto, immersi in un’amaca o seduti su un dondolo, proviene da quell’angolo immenso di quella parte del Cielo dove risiede tutto ciò che è bellezza e che attende solo di essere tradotto in realtà e scendere."

il giardino sensoriale

 

Uno spazio per immergersi nella natura e far respirare l'anima...

Uno spazio di pace e serenità che faciliti la percezione della bellezza attraverso l'esplorazione sensoriale (vista, olfatto, tatto, udito, gusto) e il contatto con gli elementi archetipali: aria, terra, acqua e fuoco.

Uno spazio fatto di piccoli angoli per favorire il raccoglimento, l'osservazione e  l'ascolto dei suoni della natura, come il canto degli uccelli...

Uno spazio terapeutico, di rigenerazione e guarigione

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i sapori

Un giardino sensoriale non può non avere anche al suo interno frutti o ortaggi da gustare: nel mio c'è un bellissimo albero di cachi che ogni anno ci regala dei frutti deliziosi... C'è anche una vite, lungo una recinzione, che a settembre ci offre qualche grappolo dai chicchi scuri...

Quanto all'orto, purtroppo non ho ne ho ancora imparata l'arte, per cui mi accontento di questo meraviglioso cavolo dai fantastici colori... 

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i profumi

E' uno degli angoli che amo di più di tutto il giardino: adoro le erbe aromatiche, sia perchè sono di facilissima coltura, sia per i loro squisiti profumi. Mi piace strofinare tra le dita le foglie di cedrina o di menta, ed aspirarne la fragranza, o stropicciare la salvia, il timo e il rosmarino... 

Ma soprattutto mi piace sedermi sulla mia sedia a dondolo, alla luce del tramonto, vicino al gelsomino e inebriarmi del suo profumo...

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i colori

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il tatto

Nel mio giardino c'è anche un angolo "tattile", con piante che hanno foglie morbide e setose,

estremamente piacevoli da accarezzare...come la Stachys lanata (a sinistra), detta anche "orecchie di agnello", che offre al tocco una bellissima sensazione di morbidezza grazie alla sua "lanugine".

Così tutti i sensi possono essere stimolati ed appagati...

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Immergersi nei colori dei fiori è fare un bagno nella bellezza... 

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i colori

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ELENA BALSAMO

pediatra, scrittrice e formatrice

Ponticella di San Lazzaro (Bologna)

tel. 371-121 9400

email: elenabalsamo17@gmail.com

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